La Medicina di Genere, una nuova dimensione della cura che mette al centro la donna

E’ un movimento interno alla medicina e chi ne fa parte lo definisce con orgoglio “una nuova dimensione della medicina”.  Stiamo parlando della Medicina di Genereche si è sviluppata fra specialisti, inizialmente per lo più donne che si sono appassionate ai temi della salute e della medicina in un’ottica di confronto di genere. Entriamo nel cuore della “medicina in rosa” per capire di che cosa si stratta e gli importanti risultati che fino ad oggi ha portato alla comunità medico-scientifica e alla stessa popolazione.

Capiamo insieme alla Dottoressa Angela Ianni Palarchio, biologa universitaria presso l’Ospedale Molinette della Città della Salute e della Scienza di Torino e responsabile dal 2009 ad oggi del progetto Women Friendship e Medicina di Genere, perché alla soglie dei vent’anni dalla nascita del movimento questa medicina stia contribuendo, in modo importante, a migliorare la diagnosi e la cura delle malattie nelledonne.

Che cos’è esattamente la Medicina di Genere?

Partendo dal fatto che la medicina, fin dalle sue origini, ha avuto un’impostazione androcentrica, centrata sulla salute del maschio, relegando gli interessi per quella femminile ai soli aspetti specifici correlati alla riproduzione, possiamo affermare che grazie alla Medicina di Genere da alcuni anni l’interesse per la salute della donna si è spostato verso lo studio delle “differenze di genere” in tutte le patologie che possono colpire sia l’uomo che la donna. La Medicina di Genere ha, difatti, dimostrato come diverse patologie siano caratterizzate da forti peculiarità di genere legate ad aspetti biologici, genetici e di natura socio-culturale che influenzano differentemente la genesi e l’evoluzione di diverse malattie. Elementi che devono essere ulteriormente studiati e presi in considerazione in prevenzione e durante l’iter diagnostico-terapeutico del paziente. La Medicina di Genere dimostra che gli uomini e le donne, pur essendo soggetti alle medesime patologie, possono presentare sintomi, progressione di malattie e risposta ai trattamenti molto diversi tra loro. Da qui la necessità di porre particolare attenzione allo studio del genere in relazione allo studio delle diverse patologie.

Quando nasce?

La Medicina di Genere nasce negli anni ’90, negli Stati Uniti, grazie ad alcune illuminate cardiologhe che hanno sollevato la necessità di mettere la donna al centro di una cura più appropriata. Fino ad allora, infatti, continuavano ad esserci pregiudizi su una ipotizzatamigliore salute della donna in ambito cardio-cerebrovascolare che veniva, perciò, penalizzata, in termini di assenza di indagini preventive precoci, oppure di scarsa scelta di indagini diagnostiche invasive, ma più precise e affidabili e anche, talvolta, sottotrattata in virtù di un pregiudizio diffuso di una presunta minore robustezza fisica della donna rispetto all’uomo. Da quel momento si è sviluppata una maggiore consapevolezza da parte del mondo scientifico che ha spinto gli enti di ricerca ad imporre sempre di più degli obblighi nell’ambito degli studi economicamente sovvenzionati con fondi pubblici e delle sperimentazioni scientifiche, affinché si considerasse la variabile genere attraverso un confronto fra un adeguato numero di soggetti coinvolti di entrambi i generi. In Europa e in Italia la Medicina di Genere arriva nel 2008 con l’istituzione di Commissioni nazionali,e dalla cardiologia questa “nuova dimensione della medicina” si è estesa a moltissime branche della medicina.

Quali?

L’oncologia, la reumatologia, la terapia del dolore, la neurologia, la pneumologia, la gastroenterologia, la chirurgia dei trapianti e anche in ambito metabolico dove, in relazione alle differenze di genere, si sono approfonditi alcuni aspetti che in precedenza non erano stati sufficientemente indagati. Insomma, in quasitutte le specializzazioni. Un grande traguardo.

Per quale ragione?

Solo procedendo in questa direzione sarà possibile garantire a ogni individuo, maschio o femmina, l’appropriatezza terapeutica rafforzando ulteriormente il concetto di “centralità del paziente” e di “personalizzazione delle terapie”.

Cosa cambierà nella diagnosi e nella cura delle malattie?

Per esempio, per quanto riguarda le patologie cardio-cerebrovascolari, oggi si può evidenziare che queste rappresentano complessivamente la prima causa di morte per le donne nel 42% dei casi rispetto al 34% degli uomini. Per quanto riguarda i tumori, la percentuale di mortalità per le donne è pari al 25% dei quali solo il 6% riguardano seno e apparato riproduttivo, mentre per gli uomini la percentuale di mortalità legata a tumori è pari al 34%. Tutto ciò indica quanto le campagne preventive in ambito ginecologico abbiano inciso positivamente sulla salute delle donne, mentre molto resta da fare sul piano della prevenzione delle patologie cardio-cerebro-vascolari.

Ci faccia altri esempi.

Per quanto riguarda l’aspettativa di vita della donna, questa è superiore a quella dell’uomo, ma pochi sono a conoscenza che si tratta di un guadagno in anni di grave disabilità fisica e psico-emotiva. La spettanza in anni di vita sana (AVS), infatti, calcolata all’età di 50 anni in Italia è equivalente fra uomini e donne e pari a 20.63 AVS per gli uomini e 20.86 AVS per le donne. Questo significa che, purtroppo, gli anni di sopravvivenza delle donne rispetto agli uomini non sono anni liberi da malattia… E necessario intervenire con una prevenzione mirata per migliorare questa situazione. Uno degli obiettivi della Medicina di Genere.

Ci faccia un altro esempio.

Circa il consumo dei farmaci, a livello internazionale e a livello italiano è confermata la tendenza nel sesso femminile a consumare più farmaci (+ 10%) rispetto agli uomini, come viene dimostrato dall’analisi sui consumi dei farmaci su base prescrittiva da parte dell’Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali- OsMed, pubblicata nel 2010 dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), con un consumo pari al 71% per gli uomini e dell’81% per le donne. Una differenza di consumo confermata anche dai dati ISTAT nel 2011 per tutte le classi d’età della popolazione italiana. Paradossalmente, prima dell’avvento della Medicina di Genere, a fronte di un maggiore consumo di farmaci da parte delle donne in qualunque fascia di età, vi erano meno dati di sicurezza ed efficacia dei farmaci proprio a carico delle donne. Oggi grazie alle pressioni esercitate dal movimento di sensibilizzazione portato avanti dalla Medicina di Genere la conoscenza sul rapporto donne e farmaci sta progressivamente migliorando.

Cos’è cambiato nella sperimentazione scientifica per fini terapeutici?

Rispetto al passato il numero delle donne che partecipa agli studi è aumentato e questo è un bene, perché la loro partecipazione più attiva favorisce lo sviluppo di nuove terapie farmacologiche sempre più mirate, quindi più efficaci e anche con meno effetti collaterali. Il concetto di prevenzione anche da questo punto di vista si riallaccia alla Medicina di Genere, come si nota: attraverso la buona sperimentazione che rende partecipi più donne, si costruiscono le basi per ottenere cure più efficaci e sicure, e anche questa è prevenzione rivolta non verso l’insorgenza di malattie ma verso la riduzione degli eventi avversi gravi legati ad eventuali reazioni insorte dopo il consumo di farmaci. Reazioni che, talvolta, possono portare anche a morte o a gravi problemi di salute che necessitano di ospedalizzazione!

Cosa accadeva prima?

Lo scarso arruolamento delle donne alla sperimentazione scientifica per fini terapeutici era dettata da ragioni sociali (tempo non sufficiente, mancanza di autonomia economica), da ragioni comportamentali (uso di rimedi naturali e stili di vita che comportavano indagini più complesse e di conseguenza costose) e da ragioni biologiche legate alle possibili gravidanze in età fertile. Nel corso degli anni anche in Italia le cose sono cambiate in positivo.

E nella nostra regione che situazione esiste?

L’arruolamento, cioè il coinvolgimento delle donne negli studi clinici, è attivo. Lo dimostra, tra i diversi studi, anche quello che abbiamo recentemente condotto in ambito oncologico sul confronto di genere nell’arruolamento dei pazienti affetti da neoplasie non genere-specifiche (che colpiscono sia gli uomini che le donne) quali il tumore del colon-retto o del polmone.

Che cosa è emerso?

Lo studio, iniziato nel 2008 e terminato nel 2015, si è svolto presso due centri oncologici maggiori della Regione Piemonte, il Centro Onco-Ematologico Subalpino (COES) della Città della Salute e della Scienza di Torino e il Polo oncologico Nord-Est dell’Azienda Ospedaliera Universitaria della Carità di Novara, dimostrando una partecipazione femminile agli studi clinici significativa e in numero adeguato alla popolazione regionale di donne affette dall’una o dall’altra neoplasia; una partecipazione che ha contribuito a fornire dati, raccolti ed analizzati, che oggi possono dare risposte terapeutiche mirate anche alle donne.

Da “Nuova Speranza”, il magazine dell’Associazione per la Prevenzione e la cura dei Tumori in Piemonte Onlus – 11/2017

 

 

 

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